La difficile convivenza tra un sito archeologico, una cava di carbone e due centrali elettriche
Il lapidarium di Viminacium con i sarcofagi romani
Per Viminacium è, da sempre, una questione di confini. Nata per proteggere quelli dell’Impero Romano dagli invasori si trova oggi, a quasi duemila anni di distanza, a dover proteggere i suoi. Non più da invasori stranieri, ma dalle statalissime ruspe di una gigantesca cava di carbone. I moderni legionari sono Miomir Korać, direttore dell’istituto archeologico di Belgrado, e il suo team di scavo, tutela e valorizzazione del grande progetto Viminacium. Già, perché l’antica città romana, oggi Kostolac, sorta alla confluenza tra Mlava e Danubio - uno dei più importanti baluardi e campi militari romani nel periodo tra il I e il VI secolo - si trova, oggi come allora, in stato di allerta permanente.
La miniera di carbone a cielo aperto di Dermno: quest’area, in particolare, esaurito lo sfruttamento, è stata ricoperta con la terra di riporto proveniente da una nuova area di estrazione.
Arrivandoci in camper, all’imbrunire, mi sento un po’ come il capitano John Koenig e la sua astronave Aquila sulla base lunare Alpha in Spazio 1999… l’area degli scavi archeologici è circondata, quasi cinta d’assedio dai 1.300 ettari di una colossale cava di carbone a cielo aperto, alla quale fanno da sentinelle due centrali elettriche da complessivi 700 MW, in espansione.
Il peristilio principale della Domus Scientiarum di Viminacium, centro scientifico, per la ricerca e l’accoglienza turistica.
L’appuntamento è alla Domus Scientiarum, il centro scientifico per la ricerca e l’accoglienza turistica del parco archeologico. Mi accoglie Nemanja Mrdjic, archeologo e ricercatore, 15 anni di esperienza a Viminacium. Di Indiana Jones forse non ha il fisico, ma l’ironia, la simpatia e il cappello sono gli stessi. L’ora impone una (più d’una?) rakjia di benvenuto, ed è il modo migliore per allineare parole, pensieri e macchina fotografica.
Il sepolcreto est con il mausoleo della metà del III secolo, circondato da tombe del III - IV secolo.
Viminacium è stata il capoluogo della provincia romana della Mesia Superiore, corrispondente all’incirca all’attuale territorio della Serbia: un territorio che donò all’impero romano ben diciotto imperatori. Durante il governo di Adriano (117-138) la città ricevette il rango di Municipium, mentre lo status di colonia romana – il più alto che una città potesse raggiungere all’interno dell’impero - arrivò sotto Gordiano III, nel 239, insieme al diritto di conio. Complessivamente, a oggi, sono state scavate più di 13.500 tombe, con circa 32.000 ritrovamenti di suppellettili e oggetti preziosi, a conferma delle dimensioni e del rango della città, oltre a domus e palazzi monumentali, un anfiteatro, delle ricche terme, e un articolato complesso di infrastrutture tra strade, acquedotti e canali.
L’anfiteatro romano visto dalla parte orientale della cavea. Oltre l’arena, sono visibili la struttura protettiva delle terme romane, l’area della città non ancora scavata e la centrale elettrica Kostolac B, costruita nella zona del sepolcreto meridionale.
Il discorso cade subito sul corto circuito tra le apparentemente inconciliabili esigenze economiche e di valorizzazione di questa zona.
Da un lato l’elettricità fornita dal carbone è ancora una delle risorse principali per la Serbia, e questa zona così ricca di giacimenti non può certo essere trascurata; dall’altro, Viminacium rappresenta dal punto di vista storico, archeologico e culturale un sito della massima importanza per la Serbia: gli scavi sono finanziati dai ministeri della Cultura e della Scienza, ed è inserita nella tentative listUnesco come sito seriale transnazionale “Le frontiere dell’impero Romano”.
Le Thermae pubbliche, in epoca romana deputate non solo all’igiene personale ma anche a luogo di incontro, svago e a molteplici attività sociali: nella foto, parte dell’impianto costruttivo del III – IV secolo.
«C’è bisogno di un compromesso, dice Nemanja, la situazione è complessa. Se chiudessero la miniera o la centrale, migliaia di lavoratori resterebbero senza impiego. Senza contare il fatto che questi terreni, un tempo naturalmente vocati all’agricoltura, non sono più riqualificabili in tal senso. Se però accettiamo come ineluttabile la presenza della cava e delle centrali, non possiamo arrenderci alla scomparsa di Viminacium. è una lotta contro il tempo, rischiamo seriamente di veder distrutto per sempre quanto non abbiamo ancora avuto il tempo di indagare e di scoprire: i confini del sito sono sempre più esigui: ruspe contro cazzuole, secchi e palette.
Il parco dei Mammouth: lo scheletro del mammouth Vika (steppe mammouth -Mammuthus trogontherii), risalente al miocene e scoperto nella miniera di carbone sotto l’area del cimitero romano.
La miniera sta progressivamente distruggendo le aree periferiche del sito archeologico: ville suburbane, piccoli villaggi rurali, le necropoli. Anche sotto Viminacium sono stati individuati ricchi giacimenti di carbone e il nostro lavoro, oltre allo scavo e alla valorizzazione, è quello di creare un movimento d’opinione, cercare consensi per riuscire a proteggere l’antica città e la fortezza, oltre alle zone immediatamente circostanti. Insomma, stiamo facendo il massimo per non fare la fine del nostro Vika, il mammouth scoperto nella miniera di carbone sotto l’area del cimitero romano! ».
L’anfiteatro romano visto dalla porta ovest. La fase costruttiva del III secolo che è stata riproposta dagli archeologi presentava mura perimetrali in pietra e la cavea in legno.
Con quali fondi riuscite a far fronte a tutto ciò?
Sorride, Nemanja: con i finanziamenti che giungono anche dalla miniera e dalle centrali: da “nemico”, sono a tutti gli effetti sponsor e stakeholders, contribuendo agli scavi hanno aiutato anche lo sviluppo turistico del parco archeologico. E, oltre allo sviluppo turistico, va considerato l’aspetto della salute degli abitanti della vicina Kostolac…
Già, problemi per la salute? Allarga le braccia, la testa scende tra le spalle.
«Officially not problematic, but… local statistics… catastrophic»…
Il cimitero est con gli affreschi delle tombe tardo-romane. A causa dell’ingresso troppo basso – appena 30 cm. - è stata rimossa una parte della pavimentazione per permettere l’accesso ai visitatori a uno dei migliori esempi di pittura tardo-romana. Le tombe hanno sezione a trapezio, con base allargata che va restringendosi verso l’alto.
Kostolac B è una centrale elettrica alimentata a carbone costituita da due blocchi da 350 MW, per una potenza complessiva, dunque, di 700 MW. La miniera sta incrementando la sua produttività da 6 a 9 milioni di tonnellate di carbone annue. In questo momento si sta costruendo il terzo blocco della centrale: una volta terminato, sarà possibile incrementare la produzione del carbone fino a 12 milioni di tonnellate all’anno. La miniera di carbone occupa ora 1.300 ettari, e questo terreno già include le zone ove già è stata terminata l’astrazione.
Kostolac, il villaggio dei rifugiati vicino alla centrale elettrica B: ospita rifugiati dal Kosovo, scappati dopo i bombardamenti NATO del 1999.
A Kostolac, poi, c’è una centrale elettrica più vecchia. La cittadina conta oggi poco più di 9.000 abitanti, ma si sta spopolando rapidamente, molte persone si spostano all’estero, soprattutto in Austria e Germania, oltre che a Belgrado. La disoccupazione è alta, ci sono enormi disparità sociali, sebbene lo stipendio medio sia il secondo più alto della Serbia dopo Belgrado. Quest’ultimo dato ci fornisce una percezione sbagliata, perché le persone impiegate nell’impianto elettrico e alla miniera hanno stipendi altissimi, mentre altri settori vedono salari decisamente più bassi, creando forti squilibri sociali. Oltre a ciò, un gran numero di rifugiati si è fermato nei centri allestiti in prossimità di cava e centrale dopo le guerre balcaniche, e vivono ancora qui.
«Cerchiamo di fare il massimo coinvolgendo più persone possibile per assicurare loro un futuro anche attraverso gli scavi e il turismo archeologico. Noi promuoviamo questo approccio con il moto “il futuro di Kostolac è nel suo passato” ».
La sala conferenze della Domus Scientiarum, che ospita lungo tutti i muri perimetrali le teste dei diciotto imperatori romani nati nel territorio della Serbia.
Sta, dunque, nello sviluppo del parco archeologico la possibilità di rinascita e di parziale riqualificazione. Nel 2016 Viminacium ha accolto 75.000 visitatori, i numeri possono crescere in maniera esponenziale: tutte le aree indagate tranne l’anfiteatro sono valorizzate con sistemi di copertura e l’anfiteatro stesso è di importanza strategica per le future attività turistiche: possono essere organizzati e calendarizzati concerti, rievocazioni, ludi gladiatori, eventi pubblici. La domus scentiarumè attrezzata con laboratori di ricerca visitabili, un museo, c’è la possibilità di dormirci e di mangiare».
Il peristilio centrale della Domus Scientiarum di Viminacium, centro scientifico, per la ricerca e l’accoglienza turistica, visto dall’ingresso principale.
Già, la domus… realizzata ex-novo, copia fedele di una casa romana con i suoi colonnati, volumi, colori e arredi, non può non dare un vago senso di Disneyland. Un altro mondo, rispetto al modello di valorizzazione al quale siamo abituati in Italia. Ma Nemanja ha le idee chiare: oltre alla domus, non gli dispiacerebbe se fosse ricreato un intero villaggio con botteghe, terme, spazi e spazi pubblici e privati ove far rivivere ogni giorno ai visitatori la quotidianità al tempo dell’impero romano. Porterebbe occupazione, turismo, fondi per la ricerca slegati dall’estrazione carbonifera. Perché anche il futuro di Viminacium è nel suo passato.
[testi e fotografie © Gianluca Baronchelli / National Geographic Italia]