Il monastero della Trasfigurazione con l’affresco del Ciclo della vita, 16 km a nord di Veliko Tărnovo.
Iconostasi maestose. Invasioni e saccheggi. Un’icona persa nei boschi e ritrovata dopo un secolo. Tempi dilatati, cani che per strada sanno tenere la destra, litri di yogurt salato e, soprattutto, tanto silenzio. Milleduecento chilometri in macchina tra i monasteri della Bulgaria sono un viaggio nel tempo, prima ancora che nello spazio. Un viaggio, soprattutto, nella memoria e nell’identità di un popolo.Si dice che in Bulgaria i monasteri siano più delle chiese in Italia. Molti sono entrati, negli anni, nella lista Unesco: da Bojana, alle porte di Sofia, fino a Nesebar, affacciata sul Mar Nero, passando per il monastero di Rila e le chiese scolpite nella dura roccia di Ivanovo. Luoghi che non parlano solo di spiritualità, ma veri e propri concentrati di arte, cultura, identità nazionale.
Dopo l’introduzione ufficiale del cristianesimo ad opera di Boris I nell’865, durante il primo regno bulgaro, l’architettura religiosa e l’arte della pittura ad essa collegata vivono il primo, grande momento di diffusione. I monasteri diventano così i principali centri di diffusione della cultura. Dall’XI al XIII secolo, durante il secondo regno bulgaro, si raggiunge il periodo della maggiore consapevolezza artistica, soprattutto nell’affresco e nella produzione di icone: solamente a Tărnovo (oggi Veliko Tărnovo), all’epoca capitale del regno, sorgono più di quaranta chiese. Il regno bulgaro è però vicino a un lungo periodo di oblio: fiaccato da lotte interne e da continui tentativi di invasione, cede nel luglio del 1393 sotto gli affondi dei Turchi, che invadono l’intera regione balcanica. Cominciano così quasi cinque secoli di governo ottomano, che portano alla progressiva islamizzazione del territorio, diviso in province. All’interno delle province la popolazione stessa è suddivisa in millet, comunità religiose subordinate a quelle musulmane, pur con un parziale diritto all’autogoverno relativamente alla libertà religiosa, ai diritti di proprietà e di famiglia.
È così che i monasteri, da centri di diffusione della cultura, divengono silenti centri di conservazione della memoria. Solamente qui infatti possono essere tenuti in vita e tramandati riti e tradizioni, attraverso la pratica e la diffusione orale, e soprattutto con la metodica trascrizione di antichi manoscritti sulla storia dei primi khan bulgari.
Solo nella seconda metà del Settecento l'indebolimento dell'Impero ottomano riapre ai Bulgari prospettive di rinascita. Il Risveglio nazionale, dapprima timido, prende via via forza e consapevolezza e in concomitanza con l'insurrezione bosniaca, che precede lo scoppio della guerra russo-turca del 1877 scoppiano anche in Bulgaria violente rivolte che culminano nell'istituzione della Grande Bulgaria, sancita dal trattato russo-turco del 1878.
Percorrere queste strade, sedersi su queste pietre, leggere questi affreschi ancora così vivi è attraversare un pezzo importante della storia di un paese, di un popolo e del suo cammino.
Il monastero della Trasfigurazione
Da Sofia la prima tappa porta a est: poco più di duecento chilometri ci dividono da Veliko Tărnovo, capitale del secondo regno bulgaro tra il XII e il XIV secolo. Servono pochi chilometri ancora, piegando a nord, con la strada che sale dolcemente tra boschi e roccia lungo il corso del torrente Jantra per raggiungere il monastero della Trasfigurazione. Fondato nel 1360, anche se le sue origini si possono far risalire a quasi due secoli prima, distrutto dagli Ottomani, ricostruito nel 1825, è stato affrescato da Zahari Zograf, il più famoso pittore del Rinascimento bulgaro. Mi accoglie un mondo intero sulle pareti esterne, tra il Ciclo della vita e il Giudizio Universale: dame prosperose, angeli della vita e della morte, osti disonesti e ubriaconi, contadini e usurai, ovviamente meretrici e turchi. Un ritratto vivido, ironico e naïf della società dell’epoca, prima di entrare, lasciandosi avvolgere dai violenti chiaroscuri e dalla pace del raccolto interno.
Arbanasi, la chiesa della Natività
Diciassette chilometri, una ventina di minuti mi separano da Arbanasi, antico villaggio strategico per il controllo del vicino passo e della vallata, premiato dai Turchi con privilegi e libertà non comuni, tra i quali il permesso di costruire una grande chiesa al centro dell’abitato. Durante il periodo del Risveglio nazionale diviene ben presto ambitissima meta di soggiorno e residenza per la ricca nobiltà locale, tradizione che prosegue anche oggi. In centro al nucleo storico del villaggio la chiesa della Natività, edificata nel 1597, come abbiamo visto in pieno periodo ottomano, poi ampliata verso la metà del Seicento. Le cinque, meravigliose sale sono interamente affrescate con oltre duemila scene realizzate tra il 1632 e il 1649, ad avvolgere una poderosa iconostasi lignea.
Le chiese rupestri e il monastero di Ivanovo
Bussola a nord, timone puntato in direzione del Danubio. Un centinaio di chilometri, per i quali servirà non meno di un’ora e mezza, mi portano alle chiese rupestri e al monastero di Ivanovo, nel cuore del parco naturale di Rusenski Lom, a soli trenta chilometri da Ruse e dal fiume dell’Europa. Una scalinata parzialmente scavata nella roccia si fa strada tra alberi e vegetazione e mi accompagna sin dentro alla grotta, arroccata a quaranta metri a strapiombo sulla strada sottostante. È, questa, la chiesa principale del monastero di Ivanovo; faceva parte del monastero di San Michele arcangelo, fondato dal monaco Gerasim nel XII secolo, e rimasto in funzione fino al XVI secolo. Durante il secondo regno bulgaro il complesso arriva a ospitare oltre cento monaci asceti, con una suddivisione degli spazi che prevedeva austeri dormitori, depositi e un gran numero di chiese e cappelle.
La chiesa principale del monastero di Ivanovo
Questa grotta della metà del XIV secolo, l’ultima a essere costruita e affrescata, rappresenta anche il momento artisticamente più alto dal punto di vista delle decorazioni di tutto il complesso. L’ultima cena e Le tre Marie al sepolcro nel naos, le scene della vita del monaco Gerasim nella cappella a sinistra, Re Ivan Aleksander e la moglie Teodora Sara che donano un modello del monastero alla Vergine nel pronao rapiscono per l’armoniosa sintesi tra iconografia bizantina e profondità prospettica occidentale.
Basarbovo, la chiesa rupestre di San Demetrio Basarabovski
Una trentina di minuti, strade piatte frequentate da poche automobili e da molti cani randagi – tutti diligentissimi nel mantenere la destra - separano Ivanovo dalla chiesa rupestre di San Demetrio Basarabovski, l’ultima chiesa rupestre di Bulgaria ancora consacrata: ricavata nel 1865 sul luogo di un precedente monastero del XIII secolo, colpisce più per la luce e per la serenità degli spazi che per la ricchezza dell’iconostasi e dell’apparato decorativo.
Basarbovo, la chiesa rupestre di San Demetrio Basarabovski
Pochi passi separano la chiesa dalla cella del monaco che, da solo, restaurò l’edificio verso la metà del Novecento, e dalla sua tomba. Ridiscesi i gradini, prima di raggiungere la chiesa nuova e la sua piccola comunità, una semplice fontana di pietra. Vicino alla fontana una bicicletta, due mele rosse e una griglia sono la sintesi perfetta di un pensiero appena accennato, ovvero che si può sempre scegliere di vivere una vita diversa.
Il monastero nella roccia di Han Krum
Piego a sud-est, puntando il mar Nero. Due ore abbondanti di macchina per il villaggio di Han Krum. Ma non c’è fretta, sto entrando nella giusta dimensione.Il monastero rupestre Hankrumovski si trova sull'altopiano di Shumen, a pochi chilometri da Han Krum, sul versante occidentale della gola di Kaluger. Prende il nome dal villaggio perché non è nota la sua reale attribuzione e costituisce forse, con i suoi spogli ambienti, l’esperienza più mistica di tutto il viaggio. I quaranta minuti a piedi che servono per raggiungerlo sono il tempo necessario e sufficiente per allineare la lancetta del mondo con quella interiore; la strada battuta, la salita attraverso i boschi, prima dolce, fino a impennarsi verso le scale ricavate nella roccia regalano la sensazione di essere arrivati in un luogo inconsapevolmente cercato da tempo. L’interno è suddiviso in tre ambienti, un tempo funzionalmente divisi tra culto, meditazione e dormitorio. Qui i monaci erano dediti all’esicasmo, dottrina e pratica ascetica e contemplativa, che mira a raggiungere la perfezione dell’uomo nell’unione con Dio attraverso la preghiera incessante. Il panorama e il silenzio sono assoluti: mi siedo spalle alla roccia, faccia al vento. Qui, così, mi sento l’ultimo di tanti.
La chiesa di Santa Sofia a Nesebar
C’è sempre un contrappasso. E dopo la solitudine e il silenzio di Han Krum, il contrappasso non può che essere rappresentato da Nesebar.
Ho raggiunto il mar Nero e l’antica Mesembria: greca di fondazione, passata poi ai bizantini, conquistata dai bulgari nell’812, di nuovo bizantina, ancora bulgara, turca dal 1453, e con il Risveglio nazionale del XVIII e XIX secolo, nuovamente bulgara. È come se fossero ancora tutti qui, travestiti da turisti, a contendersi tonnellate di souvenirs su una sequenza quasi infinita di bancarelle, interrotta solo dai tavoli di bar e ristoranti. Però un modo lo trovo comunque per godere di questa cittadella, bella da togliere il fiato. Basta uscire poco prima dell’alba per ritrovare i selciati deserti, le prospettive medievali e l’atmosfera che inevitabilmente tra un paio d’ore scomparirà. Un caffè turco, banitsa (pasta sfoglia ripiena di formaggio) e ayran, la tipica bevanda a base di yogurt, acqua e sale rappresentano la colazione ideale prima di tuffarsi nel dedalo di pietra per ritrovarsi in un attimo davanti ai resti dell’antica chiesa metropolita di Santa Sofia. Edificata tra il V e il VI secolo, si staglia nelle prime luci del mattino mostrando senza pudore le sue tre navate e il doppio ordine di arcate in pietra alternata a cotto, testimoni della vita cittadina oggi come allora.
Nesebar, la chiesa di Santo Stefano
Nesebar nel Medioevo conta oltre quaranta chiese. Oggi se ne sono conservate, in varia misura, dieci. Tra queste il Cristo Pantocratore, San Giovanni Battista, il Salvatore, Santa Prascovia, gli arcangeli Michele e Gabriele; e poi Santo Stefano, edificata a partire dalla fine del IX secolo, che ti ruba il cuore con le sue dimensioni raccolte, con la splendida abside duecentesca, con gli affreschi cinquecenteschi che raccontano le storie di Maria e i miracoli del Cristo, con i resti dell’originaria decorazione scolpita reimpiegati come base dell’iconostasi.
Il monastero di Bačkovo
Lambito il Danubio a nord, respirato il mar Nero a est, è ora di invertire la rotta. Navigatore su Bačkovo, a sud-est di Plovdiv, sulla sponda del fiume Čepelarska. Insieme a Drjanovo e Rila, Bačkovo è considerato dal popolo bulgaro il più importante e identitario monastero del paese, culla dei fondamenti del Rinascimento o Risveglio nazionale. Risalgo il fiume, mi aprono i battenti alle sei del mattino. È l’ora giusta per immergersi nella pace e nella spiritualità del luogo, prima delle quotidiane processioni di pullman e fedeli. Fondato nel 1083 da Grigorij Bakuriani, aristocratico georgiano comandante dell’esercito bizantino, conserva oggi poche tracce dell’impianto originario: alcuni elementi della muratura di fondazione e la porta principale nell’ala orientale riservata alle celle dei monaci, e la chiesa degli Arcangeli, pur ristrutturata nel corso del XVII secolo.
Il ritmo della quotidianità vissuto nel monastero di Bačkovo
Non resisto, e mi faccio raccontare da Nikolay la leggenda della Vergine di Bačkovo: arrivata nel 1311 dalla Georgia in circostanze ignote, di splendida fattura bizantina e risalente forse all’VIII secolo, l’icona viene frettolosamente nascosta nel bosco poco prima della caduta del monastero in mani turche. Se ne perdono però le tracce e viene ritrovata in maniera assolutamente casuale, per essere riportata a casa, oltre un secolo dopo, miracolosamente intatta nonostante la lunghissima esposizione a pioggia, neve e sole. Non capisco molto mentre mi parla in bulgaro, pur irrobustito da ampi gesti e grande mimica, ma l’emozione sta nel trasporto e nella luce degli occhi durante il racconto: per la comprensione, andrà benissimo il pannello in inglese.
La chiesa della Vergine durante una celebrazione nel monastero di Bačkovo
Oggi il principale edificio di culto, cuore del complesso con la chiesa degli Arcangeli, alla quale è affiancata, è la chiesa della Vergine. Consacrata nel 1604, dunque in pieno periodo ottomano, viene edificata solo grazie alla intercessione del patriarca greco, che consente il superamento dei limiti imposti dal governo turco rendendola così l’unica chiesa monumentale a tre absidi e pianta greca costruita in Bulgaria fino alla Rinascita nazionale del XVII-XVIII secolo.
L’iconostasi è del XVIII secolo, mentre sono successivi i cicli pittorici delle pareti e delle volte, risalenti alla metà del secolo successivo.
Il refettorio di Bačkovo
Un ampio refettorio seicentesco affianca le due chiese: la scena affrescata che commemora la processione seguita al ritrovamento dell’icona della Vergine, di realizzazione ottocentesca, è piuttosto naïf, mentre di ben altro livello sono gli affreschi dell’interno, realizzati nel 1643, a cingere e sormontare il possente tavolo in pietra intagliata.
La chiesa di San Nicola a Bačkovo
Dietro al refettorio ritrovo una vecchia conoscenza, ovvero Zahari Zograf, il principale pittore del Risveglio nazionale bulgaro che mi aveva accolto con il Giudizio universale e con il Ciclo della vita all’inizio del cammino, a Veliko Tarnovo. Qui a Bačkovo nuovamente un Giudizio Universale, realizzato nel 1840 nel nartece della chiesa di San Nicola, l’edificio più nuovo del complesso. Al solito, è una pittura carica di vita, di dettagli, di ironica e dolorosa umanità. Accanto a personaggi e temi già noti, qui facciamo anche conoscenza, a imperitura memoria, con i notabili di Plovdiv, rei di non aver concesso un contributo economico per l’apertura di una scuola bulgara. E, da uno dei riquadri superiori, Zahari stesso si gode la scena, e lo spettacolo di chi ancora oggi scruta ancor oggi le sue storie.
Il monastero di Rila
Quattro ore di viaggio mi separano da Rila, ultima tappa prima di chiudere il cerchio su Sofia.
Ci voglio arrivare al tramonto, un soffio prima della chiusura. Anche qui c’è la possibilità, come a Bačkovo, di pernottare all’interno del monastero, ed è esperienza che consiglio. Il ritmo del viaggio è lento, sempre più lento, com’è giusto che sia. Lungo la strada mi regalo una sosta a un traballante tavolino anni settanta di una poco pretenziosa mehana. Ottima scelta: shkembe chorba, kapama (non vi spiego cosa sono, assaggiateli) e l’immancabile shopska salata, splendida variante locale dell’insalata greca, rigorosamente servita con una sola oliva. Se ve ne dessero due, lamentatevi. Cedo a una birra, prima del consueto rifornimento di ayran per il viaggio e per la sera.
Compare all’improvviso, il monastero, tra i faggi del Massiccio del Rila. Varco il portone, la luce è poca, il cielo si nasconde dietro a nuvole spesse e veloci. Credo quasi sia fatto apposta, perché il bianco, il nero e il rosso dei colonnati e delle arcate, il giallo delle cupole, la pietra grezza della torre Hrelio sembrano vivere di luce propria.
Gli affreschi della chiesa della natività della Vergine a Rila
Profondamente venerato, come abbiamo visto, insieme a Drjanovo e Bačkovo, il monastero di Rila ha contribuito in modo determinante alla conservazione delle tradizioni bulgare durante il periodo ottomano fino al Risveglio nazionale. Fondato dal monaco eremita Ivan Rilski nel 927, saccheggiato più volte, restaurato nel 1469, distrutto quasi interamente da un incendio nel 1833, proclamato museo nazionale dal regime comunista nel 1961, dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1983, non ha mai smesso di rappresentare il fulcro dell’identità bulgara. Ciò che maggiormente colpisce è l’autentica esplosione degli affreschi della chiesa della Natività della Vergine, l’edificio più noto del complesso. Eseguiti tra il 1840 e la fine del secolo, anche qui troviamo ovviamente la mano di Zahari Zograf, insieme a suo fratello Dimitar, Stanislav Dospevski, Ivan Obrazopisec e suo figlio Nikola, e molti altri. Il meglio della scena artistica e culturale bulgara dell’epoca.
Passato e presente nel monastero di Rila
La pianta e il progetto dell’edificio si devono a Pavel di Krimin, ispirato dalle chiese dei monasteri del monte Athos, mentre l’iconostasi principale, realizzata tra il 1839 e il 1842, è considerata la più ricca di tutta la penisola balcanica. Qui dentro, avvolto dai violenti chiaroscuri creati dal gioco delle lame di luce che filtrano dall’esterno e delle candele, riprovo la sensazione iniziale, ovvero che questo monastero forse è davvero in grado di illuminarsi, di illuminare, e che nel corso dei secoli ha preso per mano un popolo intero, mostrandogli la via anche nei momenti più bui.
[© Gianluca Baronchelli/National Geographic Italia]