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La chiesa di Santa Luciella a Napoli

Aggiornamento: 31 mag 2020

L’antica storia della confraternita dei pipernieri e del cranio con le orecchie

Il cranio con le orecchie, conservato nella chiesa di Santa Luciella a Napoli © Gianluca Baronchelli

Il cranio con le orecchie, conservato nella chiesa di Santa Luciella

Napoli, più di altre città, ha molti cuori. Uno di questi, tra i più antichi e pulsanti, abbraccia Spaccanapoli e il decumano maggiore, oggi via dei Tribunali. Un dedalo di straduzze e vichi lo irrora, donandogli vita e vite diverse. È immediatamente visibile e percepibile, questo cuore, ma si svela completamente solo a chi ha la pazienza e la curiosità di indagarlo a fondo. La piccola chiesetta di Santa Luciella, al civico cinque dell’omonimo vico affacciato su via San Biagio dei Librai è un piccolo gioiello in grado di raccontare oggi molte storie.

Fondata nel 1327 da Bartolomeo di Capua, giureconsulto di Roberto D’Angiò, rinata nel Settecento con l’antica corporazione dei Pipernieri, successivamente caduta in abbandono, oggi Santa Luciella vive una seconda epifania grazie ai ragazzi di Respiriamo Arte (Massimo Faella, Simona Trudi, Angela Rogliani, Marcello Peluso e Francesca Licata), associazione che dal 2013 culla un sogno che sta diventando realtà: recuperare il patrimonio storico-artistico e la memoria della città di Napoli. La sfida di Massimo e dei suoi soci parte da un colpo di fulmine (in fin dei conti, stiamo parlando di cuori) e da un libro, “Le chiese proibite di Napoli”, di Paolo Barbuto. Li sta aspettando qui, questa piccolo chiesa, sulle pagine di un libro. Polverosa, chiusa a doppia mandata dagli inizi degli anni Ottanta, adibita per un periodo anche a magazzino di bombole del gas e di sedie. Niente, con i colpi di fulmine è così: bisogna correre, andare avanti, sempre. Anche se poi la burocrazia ci mette del suo. Ci vogliono tre anni per arrivare al comodato d’uso, e così nel 2016 la piccola Luciella viene data in affido all’ Associazione che, in altri tre anni, con 13.000 € di fondi propri e con 27.000 € donati dal Pio Monte della Misericordia di Napoli riesce a metterla in sicurezza e, dal mese scorso, a riaprirla al pubblico.

Napoli: l’interno della chiesa di Santa Luciella © Gianluca Baronchelli

L’interno della chiesa di Santa Luciella

La chiesa, dicevamo, è fondata nel1327 da Bartolomeo di Capua, giureconsulto di Roberto D’Angiò. L’impianto e la struttura sono tipicamente medievali, lo percepiamo dall’arco a sesto acuto, dagli stemmi del portale e dal suo grande finestrone. I di Capua continuano a gestirla e ad occuparsene anche nel Settecento, quando il principe Della Riccia sponsorizza il rifacimento del portale e altre opere di riammodernamento, a patto che vengano preservati gli stemmi del suo avo Bartolomeo di Capua, tuttora ben visibili all’esterno della chiesa.

La seta settecentesca rinvenuta durante i lavori, con i simboli del martirio di Santa Lucia a Napoli © Gianluca Baronchelli

La seta settecentesca rinvenuta durante i lavori, con i simboli del martirio di Santa Lucia

Nel Settecento diventa sede e luogo di culto di una corporazione tra le più esoteriche e antiche di Napoli, la corporazione dei fabbricatori, pipernieri, tagliamonti. La ragione della scelta è duplice: da un lato la corporazione, pur antichissima, non è certo tra le più ricche della città, dunque cerca una chiesa già edificata, piccola e dai ridotti costi di gestione, come diremmo oggi. Dall’altro, il fatto che fosse dedicata a Santa Lucia – Luciella è solo un diminutivo per distinguerla dalle chiese di Santa Lucia Vergine al Monte e Santa Lucia a Mare – viene vissuto come segno del favore divino: Santa Lucia era infatti molto cara ai pipernieri, in quanto protettrice degli occhi, particolarmente a rischio a causa delle schegge vaganti durante le fasi di lavorazione della dura pietra. Mi racconta Massimo che l’antica seta settecentesca con gli occhi, il calice e la palma simboli del martirio di Santa Lucia che oggi ammiriamo nella chiesetta è stata rinvenuta sotto le macerie del primo piano, con ogni probabilità messa al sicuro prima della chiusura della chiesa e prima che il solaio stesso collassasse.

La veste indossata dai pipernieri in occasione di funerali e processioni con il medaglione dei membri della confraternita. Chiesa di Santa Luciella, Napoli © Gianluca Baronchelli

La veste indossata dai pipernieri in occasione di funerali e processioni con il medaglione dei membri della confraternita

La Corporazione dei fabbricatori, pipernieri, tagliamonti di Napoli nasce ufficialmente nel 1500. Primi firmatari sono tra gli altri i della Monica, i Cafaro: storiche famiglie che daranno i natali, nel Seicento e nel Settecento, a grandi architetti. In realtà il lavoro del costruttore, del massone, del muratore esisteva da molto prima e già nel Trecento è noto lo sfruttamento di cave di piperno soprattutto verso Fuorigrotta e Soccavo, famosa per la leggenda del Santo Graal. Sembra quasi impossibile che una zona così lontana dal centro storico come Soccavo nasconda in sé una delle leggende più famose di Napoli: la rappresentazione di un calice, per alcuni il Santo Graal, alla base del braccio verticale della croce in piperno tuttora visibile a Soccavo, sarebbe la prova che il calice è passato proprio di qua, fermandosi con i suoi custodi, i Templari in fuga, in un casale oggi abbandonato sulla collina dei Camaldoli, casale decorato sulle facciate con simboli esoterici e dell’ordine dei Templari. La spiegazione più semplice è che i pipernieri abbiano semplicemente dato sfogo alla loro passione per le pratiche esoteriche ma, come dice Massimo, la leggenda è bella assai!

Il bugnato in piperno della Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli © Gianluca Baronchelli

Il bugnato in piperno della Chiesa del Gesù Nuovo

Leggende a parte, è certo che il piperno e i pipernieri hanno avuto un ruolo fondamentele nell’architettura di Napoli: possiamo trovarne testimonianza sulle facciate degli antichi palazzi, nei chiostri delle chiese, al Maschio Angioino. La chiesa del Gesù Nuovo, precedentemente palazzo dei Sanseverino, è uno dei massimi esempi di utilizzo del piperno, e ancor oggi sono ben visibili sul bugnato della facciata i segni che mastri pipernieri hanno lasciato incisi sulle pietre; segni sui quali si sono scatenate le teorie più varie, fino a considerarli uno spartito musicale in lettere aramaiche. O, più prosaicamente, semplici segni di riconoscimento delle cave di provenienza.

Le “terresante” dell’ipogeo di Santa Luciella a Napoli © Gianluca Baronchelli

Le “terresante” dell’ipogeo di Santa Luciella

Fa uno strano effetto scendere finalmente nell’ipogeo di Santa Luciella, il suo cuore più nascosto, la sua anima più intima. Una trentina di crani, alcuni dei quali ancora integri, riposano sulle mensole poste sopra le terresante. Appartengono ai membri dell’arciconfraternita, e si pensa risalgano a un periodo compreso tra il Seicento fino all’Ottocento. Quando uno dei confratelli moriva, veniva adagiato nelle scolature per perdere i liquidi, poi passato nel terreno delle terresante per ultimare il processo di putrefazione e di essiccazione. Successivamente le ossa venivano raccolte, lavate e sepolte nell’ossario, ancora presente al piano sotterraneo. Solo il cranio veniva salvato e posto sul cornicione. Guardiamo le foto fatte prima dell’intervento di valorizzazione. “Hai visto com’era prima?” La voce di Massimo si abbassa, diventa un sussurro. “Abbiamo ridato la dignità alle persone che sono qui sepolte, ora vediamo dei teschi, ma sono delle persone”.

Il cranio con le orecchie ci guarda, ascolta. O, almeno, sembra davvero che lo faccia. La tradizione popolare, antichissima, lo interpreta come un amplificatore, uno strumento di comunicazione tra questo mondo e l’aldilà. Un tramite attraverso il quale inviare molto più velocemente un messaggio a un caro defunto che sta dall’altra parte.

Lo studio scientifico completo del prezioso reperto antropologico è affidato ad un team di scienziati tra cui l’anatomista Veronica Papa e l’antropologa forense Elena Varotto, coordinato dal Prof. Francesco M. Galassi, paleopatologo della Flinders University. “Possiamo anticipare che la parvenza di orecchie è data dalla protrusione verso l’esterno delle ossa temporali del cranio, in seguito a fenomeni post-mortali, soprattutto dovuti al microclima dell’ipogeo” – mi spiega il professore, che aggiunge “gli aspetti scientifici sicuramente arricchiranno quelli storico-culturali di questa importante realtà napoletana.”

L'affresco delle anime purganti, chiesa di Santa Luciella a Napoli © Gianluca Baronchelli

L'affresco delle anime purganti

La tradizione del culto delle anime purganti e delle capuzzelle, ovvero i teschi, è nota, ed esplode in tutto il suo coloratissimo folklore nel Novecento: ogni lunedì - giorno difficile per i vivi, ma anche per i morti! - fiumane di persone, in prevalenza donne, si recano in processione spontanea ai vari cimiteri e chiesette sotterranee ove sono conservati i teschi : si deve addirittura istituire una nuova linea del tram che porta direttamente alle Fontanelle, il cimitero simbolo di questo culto. È il giorno, il lunedì, dedicato al rifrisco, il rinfresco delle anime purganti. Teschi e ossa vengono puliti con la naftalina, coccolati e accuditi in cambio di grazie e di ogni sorta di richiesta, numeri del lotto inclusi. Nel momento in cui il teschio non ti esaudisce c’è chi insiste, e chi invece lo disconosce adottandone un secondo, poi un terzo; chi per paura di vendette o ritorsioni lo gira faccia al muro… le donne diventano quasi delle sciamane, leggono le ossa, al punto che la Curia negli anni Sessanta prende netta posizione vietando il culto. Con pochi risultati, però, perchè è solo col terremoto del 1980 e il danneggiamento e la chiusura di molte chiese, ipogei e cimiteri che il culto perde di intensità. Oggi in realtà, anche se in forma molto meno evidente, il culto delle anime purganti è ancora ben vivo e presente: certo, non si puliscono più i teschi, ma la pratica dell’adozione è ancora ben diffusa. Lettere, biglietti, oggetti di ogni tipo ed ex-voto vengono regolarmente lasciati, come dire, alla cortese attenzione del teschio prescelto.

La devozione spontanea oggi, a pochi giorni dalla riapertura della chiesa di Santa Luciella, Napoli © Gianluca Baronchelli

La devozione spontanea oggi, a pochi giorni dalla riapertura

L’ipogeo di Santa Luciella conserva anche un buon numero di ex-voto databili tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento: vi possiamo riconoscere, tra gli altri, il naso e l’orecchio, utilizzati quando la grazia viene chiesta per malattie che colpiscono questi organi. Ancora, il cuore, utilizzato quando non si vuol far sapere per chi, o cosa, è stata richiesta la grazia. La mano al petto per le malattie polmonari, i bambini in fasce per la protezione di un piccolo… in questa chiesetta sotterranea riposa un microcosmo perennemente in equilibrio tra fede, scaramanzia, tradizione e pietas.

Gli ex-voto dell’ipogeo nella chiesa di Santa Luciella a Napoli © Gianluca Baronchelli

Gli ex-voto dell’ipogeo

L’ipogeo di Santa Luciella conserva ancora un affresco piuttosto raro delle anime purganti, databile alla fine del Seicento, inizi Settecento. Raro perché rappresentazioni delle anime purganti si trovano più frequentemente su tela o sotto forma di statuette, essendo dedicate perlopiù ad ambienti sotterranei, ove muffe e umidità tendono a danneggiare molto gli affreschi. Lo stato di conservazione non è ottimo, e il suo restauro sarà una delle prossime sfide dell’associazione Respiriamo Arte. È quasi un fumetto, dedicato a chi aveva ben poca dimestichezza con lettura e scrittura, e rappresenta l’annunciazione, la nascita e la morte di Gesù. Nella parte inferiore troviamo le anime purganti in attesa delle preghiere dei devoti e dei familiari. Il fuoco che le avvolge è appunto purgante, non punitivo. Da qui non potranno finire all’inferno, ma non vi sono certezze sul tempo di permanenza in purgatorio prima dell’ascensione in paradiso, che dipende dal numero, dalla forza e dall’intensità delle preghiere. L’anima prescelta, quando e se giunge il suo momento, viene indicata dalla Madonna con una collanina, una sorta di moderno pass per l’ingresso in paradiso, e così riconosciuta ed accompagnata in paradiso dall’angelo, come nella scena di questo affresco.

L’armadio del degrado, chiesa di Santa Luciella, Napoli © Gianluca Baronchelli

L’armadio del degrado

Risaliamo dalla cripta in sacrestia, e non posso non fermarmi a guardare i mirabili oggetti esposti in quello che Massimo chiama “l’armadio del degrado”: hanno raccolto qui un vasto campionario di quanto sversato in chiesa, quando era chiusa e praticamente adibita a discarica: inciviltà, incuria e ignoranza rappresentate con ironia da grandi classici come una peroni vintage e una bottiglia di acqua fiuggi, medicinali, chiavi, tinture per capelli, lacca, bombolette di carnevale, una pala, dei succhi di frutta, maniglie di mobili. Ancora, un fornello, una scarpa, bicchieri, e una lattina di coca-cola “Italia 90”: chissà se è stata bevuta per brindare a un goal di Totò Schillaci, o quando a Napoli si affrontavano Argentina e Unione Sovietica, o durante i maledetti rigori di Italia – Argentina…

L’acquasantiera settecentesca col suo ingegnoso brevetto per la riserva d’acqua. Chiesa di Santa Luciella, Napoli c Gianluca Baronchelli

L’acquasantiera settecentesca col suo ingegnoso brevetto per la riserva d’acqua

Sempre in sacrestia genio e pragmatismo napoletano sono racchiusi in una bella acquasantiera settecentesca: qui, nascosto da una conchiglia, è ricavato un ingegnoso serbatoio di riserva per l’acqua santa. Dovesse finire quando non c’è il tempo per procurarsene o benedirne dell’altra, attraverso un rubinetto posto nella parte superiore era possibile riempire nuovamente la vasca.

La sacrestia della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo a Napoli © Gianluca Baronchelli

La sacrestia della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo

Ancora sulle tracce dei pipernieri e delle antiche corporazioni di Napoli, mi basta percorrere cinquantacinque metri per raggiungere la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo in via San Biagio dei Librai. È la chiesa della Corporazione dell’Arte della Seta, fondata ufficialmente nel 1477, corporazione ben più ricca e potente di quella dei pipernieri. Qui, in sacrestia, è conservata la statua lignea della Madonna Immacolata della Chiesa di Santa Luciella, di seta vestita, in attesa di tornare a casa, nella chiesa e nel vico a lei dedicati, quando saranno ultimati i lavori.

Napoli: i sotterranei della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo con la summa delle lavorazioni della pietra © Gianluca Baronchelli

I sotterranei della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo con la summa delle lavorazioni della pietra

I sotterranei della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo racchiudono, in un’area non visitabile e non aperta al pubblico, una vera e propria summadelle lavorazioni della pietra, antiche e moderne. Convivono qui testimonianze costruttive greche, romane, medievali, il misto e l’opus reticulatum, le malte al muro che donavano l’impermeabilizzazione quando l’ambiente era adibito a cisterna. Sembra di vederli, i pipernieri, a scrutare, studiare, prendere spunto da chi li aveva preceduti. E, sul pavimento, a chiudere il cerchio, i resti in piperno del portale cinquecentesco di palazzo Duca Spinelli di Castrovillari, comprato nel 1601 dalla corporazione dell’arte della seta e per metà abbattuto per i lavori di ampliamento della chiesa.

Forcella, il murales di San Gennaro di Jorit Agoch © Gianluca Baronchelli

Forcella, il murales di San Gennaro di Jorit Agoch

Da Santa Luciella, la casa dei pipernieri, e dalla chiesa dei santi Filippo e Giacomo, la casa dei setaioli, basta raggiungere il limite orientale di via San Biagio dei Librai per venire catapultati in un altro dei cuori pulsanti di Napoli: seicento metri solamente, benvenuti a Forcella. Su uno dei palazzi residenziali campeggia il gigantesco murales del giovane street artist Jorit Agoch raffigurante San Gennaro, al quale ha prestato il volto un operaio del quartiere, amico dell’artista. Sacro e profano, antico e moderno si fondono come spesso accade in questa città. Gli occhi di Gennaro sono rivolti al cielo, ci puoi leggere supplica, sfida, fede cristiana o laica determinazione. Non sono gli occhi della rassegnazione ma quelli della lotta. In uno dei cuori di Napoli che a volte fa paura, perennemente in bilico tra dannazione e resurrezione. Ma sempre in grado di guardare avanti.

[testi e fotografie © Gianluca Baronchelli / National Geographic Italia - 2019]

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