La cavea e il colonnato del teatro Olimpico
Chissà quali furono le sensazioni e le emozioni del giovane Andrea di Pietro della Gondola quando nel 1523, non ancora sedicenne, figlio di mugnaio e molto prima di diventare il Palladio, arrivò per la prima volta a Vicenza dalla natia Padova. E chissà se mai, magari sul finire della sua vita, avrà pensato allo stupore nostro, cinquecento anni dopo, nel ripercorrere le stesse vie e le stesse piazze ridisegnate dal suo genio in cinquant’anni di febbrile attività. Il volto architettonico della Vicenza di oggi, inserita nella lista del Patrimonio Unesco come “La città di Vicenza e le ville palladiane del Veneto”, è infatti indissolubilmente legato a quello del giovane tagliapietra diventato poi visionario architetto sotto la guida e l’ispirazione del suo mecenate, il conte Gian Giorgio Trissino dal Vello d’Oro, colui che gli diede il soprannome di Palladio, con evidente richiamo e omaggio alla sapienza della dea Pallade Atena.
Le venticinque opere palladiane censite in città, oltre a sedici ville di prossimità, trasformano inevitabilmente un giro a Vicenza in uno straordinario itinerario palladiano.
Ma Vicenza è, anche, molto altro. Due millenni di storia, le raccolte dimensioni del centro storico, una attenta pedonalizzazione e una vivace scena culturale e gastronomica ne fanno oggi una meta ideale per un tuffo nell’arte, nella storia e nelle atmosfere di questo lembo del nord est in mirabile equilibrio tra modernità, rinascimento, medioevo e antichità.
Per provare a conoscere Vicenza non si può che partire da Piazza dei Signori: insieme a piazza delle Biade, piazza delle Erbe e piazzetta Palladio rappresenta il cuore del centro storico e insiste sull’area che fu, con ogni probabilità, il foro dell’antica Vicetia romana. Un tempo centro della vita politica, economica e sociale, oggi piazza dei Signori ha mantenuto la sua funzione di salotto buono e fulcro della scena sociale: da qui si passa per una passeggiata, per un aperitivo, per qualche acquisto al mercato. Una grande differenza tra oggi e l’epoca romana, in verità, è che oggi i cani che frequentano le piazze in compagnia dei loro amici umani sono quasi tutti di razza, preferibilmente di taglia medio piccola e, da settembre ad aprile inoltrato, elegantemente vestiti..!
Non c’è luogo migliore di questo per fare la conoscenza del Palladio, con la Loggia del Capitanio e la Basilica Palladiana a fronteggiarsi, quasi a volersi rubare la scena e la luce al girare del sole.
Piazza delle Biade
Guido Piovene, che di Vicenza era originario, nel suo “Viaggio in Italia” scrive: “[…] conoscere Palladio, la Basilica, la Loggia del Capitanio, la Rotonda, il teatro Olimpico, il palazzo Chiericati e gli altri attraverso gli studi è una conoscenza imperfetta. Bisogna vederlo a Vicenza. Una piccola Roma, un’invenzione scenografica […]”.
La Basilica Palladiana, con il suo doppio ordine di logge, dorico e ionico, le colonne bianchissime a enfatizzare il gioco dei chiaroscuri, la tensione classica delle sue linee, le finestre serliane disegnate da un arco centrale più ampio affiancato da due aperture laterali rettangolari e dilatate a dimensioni monumentali, rappresenta al tempo stesso il monumento simbolo di Vicenza e la summa della cifra stilistica palladiana. Ammiratela (anche) da ovest, con il gioco prospettico che va a chiudersi sulla slanciata Torre di Piazza del XII secolo, rialzata sino a 82 metri d’altezza nei due secoli successivi, lasciando invariata la stretta base di appena 7 metri. Palladio progetta la Loggia del Capitanio circa vent’anni dopo la Basilica; il progetto resta però incompiuto, e così noi oggi possiamo ammirare solamente tre delle campate previste, il cui numero è rimasto ignoto. Dalle piazze, seguendo un impianto urbanistico e viario tipicamente medievale, si giunge al Duomo: l’edificio attuale sorge sui resti di una preesistente basilica paleocristiana del V secolo, visitabili nei sotterranei insieme a quelli di una domus di età augustea; la chiesa attuale è del XIII secolo, successivamente modificata e arricchita nel Quattrocento con elementi tardogotici in stile veneziano, come la facciata a fasce sovrapposte. Vanno invece ricondotti al Palladio il portale laterale nord e l’imponente cupola. Di rara suggestione, sempre in piazza Duomo, il criptoportico romano, databile tra la fine del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C., che costituiva il piano interrato di una grande casa patrizia e rappresenta oggi una delle più importanti testimonianze archeologiche delle origini di Vicenza.
In piazzetta Palladio, il celebre architetto ancora vigila sulla sua basilica
Da qui si raggiunge piazza Castello che, insieme a piazza Matteotti, delimita il corso Andrea Palladio. È il celebre liston, la via principale della città, ottocento metri ad altissima densità di arte, architettura, storia, gastronomia, botteghe di artigianato e design ed eleganti negozi. Rapiti dalla commistione di stili e di invenzioni sceniche vi troverete, quasi senza rendervene conto, a percorrerlo tutto, magari più volte: sappiate che state percorrendo il decumano principale della antica città romana, nonché il tratto cittadino della via Postumia, che dal II secolo a.C. collegava Aquileia a Genova.
Partendo da piazza Castello, sulla destra, troviamo il portale dell’antico Palazzo Capra, opera giovanile del Palladio, oggi inglobato da Palazzo Piovini e sede di un centro commerciale; messa così sembrerebbe un sacrilegio, eppure l’effetto non è dei più disturbanti, e restituisce anzi il fascino di una città in grado di mutare attraverso epoche e stili riadattando e ridisegnando i suoi spazi funzionali. Limitandoci alle opere palladiane, proseguendo sul corso troverete Palazzo Pojana (1566), Palazzo Thiene (1561) e casa Cogollo (1559), detta anche casa del Palladio, sebbene da lui mai abitata.
Nell’architettura palladiana archi, colonne, logge e finestre rappresentano un complesso fastoso, figlio di un’epoca, il tardo Rinascimento, ove l’architettura doveva obbedire solamente al piacere e alla fantasia, oltre naturalmente che alla smisurata vanità dei nobili e dei signori che commissionavano i progetti. Nobili e signori non sempre - o non particolarmente - munifici, però. Palladio lo sa bene; il giovane tagliapietra si è fatto uomo di mondo, e capisce l’animo delle persone e le loro esigenze. Tra tutte, quelle dell’apparenza: è così che, anche mettendo a frutto l’esperienza degli anni di apprendistato e la sua capacità di “architetto da cantiere”, concentra i suoi sforzi essenzialmente sulle facciate e nei piani nobili delle residenze, a scapito di ambienti più nascosti. Splendide scenografie per una committenza con più di un occhio al contenimento di budget e capitolato, come diremmo oggi.
Col naso all'insù, tra corso Palladio e contra' Cavour
Al termine di corso Palladio, in piazza Matteotti, vi attendono le due opere cittadine che, insieme alla Basilica, meglio connotano e descrivono il genio palladiano: Palazzo Chiericati, progettato nel 1550, oggi sede del Museo civico, e il Teatro Olimpico, ultimo progetto del Palladio, iniziato nel 1580 e portato a compimento da suo figlio Silla e da Vincenzo Scamozzi nel 1585.
Palazzo Chiericati rappresenta una mirabile sintesi tra palazzo cittadino e villa suburbana, spingendo a vette mai ammirate prima la classica inversione palladiana di vuoti e pieni, con un doppio ordine di alte logge dove sarebbe logico aspettarsi ali piene, e una parete piena con finestre timpanate a chiudere la parte centrale del piano nobile, dove invece si dovrebbe aprire la loggia.
Il teatro Olimpico
Il teatro Olimpico, ripensamento rinascimentale del teatro classico antico, è il più antico teatro coperto oggi visitabile in Italia e nel mondo. L’imponente cavea, di forma semiellittica e costituita da 13 ordini di gradini, termina con un colonnato corinzio sormontato da una balaustra: dodici dei ventinove intercolumni sono chiusi e ornati con statue di accademici. L’orchestra è infossata, e prelude alla maestosa scena a doppio ordine corinzio sormontata da un attico. Al centro si apre la porta regia, ai lati due porte più strette (hospitalia) tra nicchie con statue (ben novantacinque in tutto il teatro!), fregi, colonne, pilastri e timpani. Le scene lignee che vediamo oggi sono le stesse che poterono ammirare i primi spettatori in occasione dello spettacolo inaugurale del 1585, l’Edipo Re di Sofocle. Progettate inizialmente solo per quello spettacolo, sono fortunatamente diventate fisse, scampando miracolosamente per oltre cinque secoli al rischio di incendi e ai bombardamenti bellici: chissà se in questo sono state aiutate dal loro incredibile illusionismo prospettico… Oggi il teatro Olimpico è sede di numerosi eventi e concerti che spaziano dal jazz di Vicenza Jazz/new conversations in primavera al Ciclo di Spettacoli Classici dell’autunno.
Vicenza ha, da sempre, un legame strettissimo con il suo territorio e con le sue campagne, ancora oggi uno dei motori della sua economia e del suo benessere. Una digressione fuoriporta è dunque necessaria per raggiungere altri due capolavori palladiani: a circa due chilometri verso sud troviamo Villa la Rotonda, inserita dallo stesso Palladio nei suoi Quattro libri dell’Architettura, e Villa Valmarana, detta anche ai Nani, in omaggio ai nani dell’epoca allineati lungo il muro di cinta, protagonisti di innumerevoli leggende. Adagiata agli inizi della riviera Berica “sopra un monticello di ascesa facilissima” - sono parole del Palladio - Villa la Rotonda, con le sue quattro facciate simmetriche, è in grado di abbracciare allo stesso modo la vicinissima città, il fiume Bacchiglione e le campagne nella quale è immersa, paradigma di una terra e di un modo di vivere antico e mai dimenticato. L’edificio vede un salone centrale a forma circolare con volta a cupola sul quale si aprono le camere, mentre le ventiquattro colonne ioniche delle facciate si ripartiscono armoniosamente sui quattro lati a scandire i pronai e le scalinate.
Seicento metri solamente separano questo capolavoro da Villa Valmarana dei Nani, i cui interni sono ulteriormente impreziositi dagli affreschi di Gianbattista Tiepolo nella palazzina principale, costituendone una delle opere più compiute, e di Giandomenico Tiepolo, suo figlio, nella foresteria. Completa la fabbrica un grande atrio colonnato, con annesse le scuderie.
Giunti a questo punto, e appagato lo spirito con tanta bellezza e armonia, potrebbe essere il momento perfetto per appagare anche il gusto e l’appetito: Vicenza non delude, e molte sono le eccellenze del territorio, dall’asparago bianco alla sopressa (sì, qui si dice con una “p” sola!), dal formaggio Asiago al tartufo nero dei colli Berici. Se però avessimo a disposizione un piatto, e solo uno, non avremmo dubbi, in qualunque stagione dell’anno: il bacalà alla vicentina va provato! Anche qui, con una “c” sola, in dialetto, anche perché trattasi si stoccafisso e non di baccalà. Messo a bagno per non meno di trentasei ore, battuto con un martello di legno, infarinato, infine cotto a fuoco lentissimo per tre ore abbondanti con la superba compagnia di olio, acciughe, prezzemolo, latte, parmigiano e pepe. Ebbene sì: il bacalà alla vicentina racchiude in sé la perfezione palladiana.
Dopo il bacalà, concedetevi un’ulteriore passeggiata alla scoperta di quanto - ed è davvero tanto - qui non ha trovato spazio. Con una avvertenza, però: se, passeggiando costantemente col naso all’insù per ammirare l’ennesima invenzione palladiana, doveste scartare bruscamente dal vostro percorso, non stupitivi se, come è capitato a chi scrive, verrete apostrofati da un elegantissimo signore di mezza età che sfiorandovi con una silenziosa e velocissima bicicletta elettrica vi urlerà “sta ‘tento, campagne!”, ipotizzando una vostra provenienza dai campi, dunque senza alcuna abitudine a diavolerie moderne quali biciclette elettriche e monopattini. Vaglielo a spiegare che non è colpa tua, ma è ancora, e sempre, l’onda lunga del genio palladiano!
[testi e fotografie © Gianluca Baronchelli / TRAVELER National Geographic – 2021]